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24 aprile 2008

LUNGA VITA AI LED ZEPPELIN!


Cavern Pub, Liverpool: sabato 19 aprile dell’anno di grazia 2008 alle cinque del pomeriggio. Entro con un amico italiano, incuriosito dalla fama che questo locale ha per aver ospitato i Fab Four agl’inizi della loro carriera. Classica pinta di Guinness in mano, guardiamo il locale. Aria di Beatles che sprizza da tutti i pori, si direbbe a una prima occhiata: e invece … persone di un po’ tutte le età entrano e, ordinata la loro birra preferita, si dispongono ordinatamente davanti al piccolissimo palco. Osservo incuriosito una batteria con su scritto “Kappa Band” e, per terra, appoggiate sui loro trespoli, due chitarre elettriche da urlo: una vecchissima Les Paul e una fantasmagorica Gibson Doubleneck a doppio manico. Con loro c'è anche un basso Fender: mi ricordano qualcosa.
Il tempo di riavermi dallo stupore ed ecco che si materializza la band! Ebbene, amici: il mitico Cavern, tempio consacrato al culto dei baronetti (in verità un po' stucchevoli!) di Liverpool, sta per essere profanato dal rock muscolare e salvifico di Page, Plant, Bonham e Jones. I Led Zeppelin sono vivi e lottano insieme a noi? Beh, non proprio! In assenza dell’originale noi italianuzzi, capitati qui per seguire le imprese calcistiche del nostro amato Manchester City, ci accontenteremo di una loro "cover band" composta da tre amici per la pelle. Sono tre e non quattro come ci si potrebbe attendere perché Liam, il loro leader, riesce nell’impresa titanica di suonare le due chitarre come Jimmy Page e di cantare con la stessa primordiale energia di Robert Plant.
L’atmosfera attorno a noi è incredibile: arzille sessantenni, splendide quarantenni e incantevoli fanciulle cantano a squarciagola “Ramble on”, “Babe, I’m gonna leave you” o “Black dog”. Alcune di loro si dimenano voluttuose seguendo ritmicamente il sound della band come sussiegose sacerdotesse con la vocazione naturale per il Prog Rock. Noi maschietti ascoltiamo beati e accenniamo con nonchalance a qualche passo di danza. Appoggiato a una colonna c’è un tizio che ruba la scena. Pare una via di mezzo fra David Linch, il regista di Twin Picks, e Zeljko Kalac, portiere aussie del mio Milan. Nel frastuono generale lui osserva pensoso tutto quel che lo circonda. All’improvviso vede tre bionde pettorutissime figlie d’Albione che lo puntano e non sa resistere: si scatena in una danza selvaggia con loro, dimenandosi in una specie di limbo da far arrossire un maori della Nuova Zelanda. Passa una decina di minuti: lui fa l’inchino e si ricompone ma, prima di riprendere la sua postazione appoggiato alla sua colonna, se ne va al bancone del pub a ordinare due Guinness e un’acqua minerale. Sono il suo devoto omaggio ai tre musicisti che, senza interrompere la loro performance, lo ringraziano sentitamente con lo sguardo.
Il concerto termina con l’immortale riff di “Whole Lotta Love” che ricorda tanto il rombo di un reattore. Bravi davvero i tre ragazzi (cinquantenni, a dire il vero!). Al punto che mi han fatto venire in mente quel che il loro idolo Robert Plant pensava dei suoi Led Zeppelin: “C’è un solo modo per vedere se una band può funzionare, ed è sul dannato palco!”. Lunga vita a voi, amiche e amici inglesi così rispettosi delle vostre tradizioni musicali!

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