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02 gennaio 2005

STORIA DI DEDE, IL PICCOLO NOBBY STILES

ll calcio, si sa, è sport di squadra facile da capire e praticabile a tutte le età. Quarantaquattro gambe tentano di dar la caccia al pallone, mentre, ai margini del rettangolo di gioco due allenatori si comportano come antichi capitani di ventura, cercando di condizionare al meglio le convulse situazioni tecniche e tattiche.
Sotto gli occhi dell’arbitro, variabile spesso impazzita di uno spettacolo che minaccia di sfociare in rissa, si svolge l’eterno duello fra il cosiddetto fantasista, la Primadonna Numero Dieci, e il suo marcatore designato, votato da sempre al ruolo di Sergente di Ferro.
L’uno è chiamato a costruire il gioco dei suoi inventando, in punta di tacchetti, svolazzi e ditirambi balistici: la maggioranza degli spettatori smania per lui, lo segue attimo per attimo in attesa del colpo ad effetto, quello che può decidere il risultato finale e cancellare da solo tutti gli sforzi dei suoi compagni e dei suoi avversari.
L’altro, dal momento in cui entra in campo fino al fatidico fischio finale, si vota con dedizione assoluta alla marcatura del Pericolo Numero Uno: simile, in tutto e per tutto, al paguro bernardo, crostaceo che s’incolla sui fondali marini ad una conchiglia per proteggere il suo preziosissimo addome.
Alessandro, ma tutti lo chiamiamo Dede, ha quasi 13 anni, lo sguardo già da adulto che maschera un carattere pragmatico: ricalca alla perfezione, nella fascia di calciatori della sua generazione, a Torino e dintorni, la figura del marcatore, alias Sergente di Ferro, alias Paguro Bernardo. Dotato di una preparazione atletica fuori dal comune (grazie all’aiuto di un padre che è quasi il suo personal trainer), il nostro piccolo eroe ha costruito sulla ricerca maniacale dell’anticipo sistematico dell’avversario i prodromi per una promettente carriera.
Di destro o di sinistro, svettando di testa o correggendo con altre parti più o meno nobili del suo corpo i tentativi di divincolarsi dalla sua presa del Numero Dieci di giornata, Dede compie con grande naturalezza il suo piccolo miracolo agonistico.
E’ saggio come una Aracne dei nostri tempi: come l’eroina cantata da Ovidio e tramutata dagli Dei per il suo smisurato orgoglio in ragno, tesse le sue trame, girando attorno alla sua vittima predestinata, fingendo indifferenza di fronte ai suoi sempre più affannosi tentativi di sfuggire alla sua presa.
Quando lui meno se lo attende, zàc, interviene deciso ma corretto ad affermare la bontà del suo repertorio tecnico.
Ad Alessandro detto Dede, juventino – nessuno, ahimé, è perfetto! - appassionato di scacchi, di strategie militari e di danza moderna, la mia perpetua gratitudine di spettatore, perché rivaluta un ruolo ingiustamente declassato nel calcio falsamente spettacolare di oggidì, quello del mediano.
Un ruolo, purtroppo, già ampiamente sputtanato da falsi aedi canterini tipo Ligabue, che ne coglie l’aspetto della fatica a prescindere, nascondendone colpevolmente gli sprazzi di classe.
Altro che piccolo Oriali, il vero modello di Dede deve essere il baronetto dell’Inghilterra campione del Mondo nel 1966: Sir Nobby Stiles!





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