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17 dicembre 2004

BUON COMPLEANNO, MILAN!

Tutto ebbe inizio nel lontano 1899, esattamente il 18 di dicembre, in una fiaschetteria dalle parti del Duomo, in via Berchet.
Ispirandosi ad una nuova moda che stava prendendo piede nel mitico Regno Unito, alcuni giovanotti, atletici e quasi tutti con caratteristici baffi a manubrio, si diedero qui convegno per fondare un club di football.
A capo della neonata società, il Milan Cricket & Football Club, venne chiamato l’inglese Herbert Kilpin: proprio a lui toccò la scelta della divisa sociale, con i caratteristici e romanticamente stendhaliani colori rosso e nero.
Chissà come doveva essere la Milano di allora! Senza auto, ma già con i primi tram, una folla di visi trafelati s’inseguiva fra la Galleria ed i Navigli, i velocipedi ed i birocc, cioè le carrozze a cavalli, la Scala era già al centro dell’attenzione con un certo Giuseppe Verdi ancora in vita ma celebrato come un Dio.
Di qua i sciur ed i sciurùn, con i cappelli a cilindro, pronti a vantarsi di ogni loro gesto sotto braccio alle loro dame, vestite in modi oggi improponibili.
Di là la povera gente, diretta discendente della Cecilia manzoniana, con la schiena dritta anche se provata da innumerevoli disgrazie: la dura vita della filanda per le donne, la fabbrichetta per gli omen cui giachett a punt e a pass, molti che s’arrabattavano con mestieri oggi in via d’estinzione (grazie, compagni del 1968, che bel regalo che ci faceste con la vostra scuola dell’obbligo!) come il magnano, o il muleta, o l’ofelèe, o …
In mezzo al guado, per così dire, coloro che vivevano di mille espedienti, più o meno leciti.
La mala milanese, detta anche la lingèra, camminava per vie e viuzze di Milano “cun la cica in buca e la roeda del pan de mej”, secondo il ritornello di un’antica canzone che sentivo cantare da mia zia Luisa, brianzola di Montevecchia.
Furti con destrezza, borseggiamenti e regolamenti di conti fra bande rivali dovevano essere all’ordine del giorno, in quegli anni così distanti da noi! I questurin e i ghisa controllavano un po’ affannati l’ordine pubblico, menando spesso per la Via Filangeri, numer dù, cioè a San Vittore, i bricconi colti in fallo.
Ma nel lontano 1899 tutti, poveri o ricchi, onesti e non, avevano ben forte il senso dell’onore, l’amore per le proprie famiglie e per la propria città, la piacevole abitudine di ritrovarsi in piazza, al di fuori dei rispettivi lavori, per guardare e farsi guardare.
Un secolo e cinque anni or sono l’entusiasmante galoppata del Milan iniziò, lì, in mezzo a loro.
Dapprima in sordina, in campetti di periferia con le linee bianche tracciate col gesso cinque minuti prima di giocare: pochissimi gl’italiani, la maggior parte dei footballers erano sudditi della regina Vittoria o provenivano dalla vicina Svizzera.
Intanto era nata nel 1908 l’altra squadra, quella a strisce nere e azzurre costituita in opposizione al nemico Kilpin dallo scissionista Hintermann e divenuta in breve la beneamata dalla grande e ricca borghesia dei bauscioni.
Poi vennero le guerre mondiali, e gioie e dolori cancellarono l’identità di questo piccolo mondo meneghino per lasciarne un ricordo troppo vago nei lombardi di oggi.
Vittorie e disfatte, nel calcio, servono a dare l’esatta dimensione della fama del Milan, chiamato nel giorno del suo 105esimo compleanno ad affrontare nel vergognoso catino sabaudo del Delle Alpi l’avversario più tosto della sua lunga gloriosa storia: la Juve del suo ex allenatore Fabio Capello.
Ma la prossima partita che il Milan deve vincere non è tanto questa! Il traguardo di squadra più forte del mondo, alla portata dei ragazzi di Carlo Ancellotti, può essere conquistato solo tramite la partecipazione di sponsor più ricchi degli attuali.
Devono, però, essere disposti a versare nelle casse di Via Turati la bellezza di 13 milioni di euro all’anno. Dai, caro, vecchio, inimitabile Diavolo, schiscia un po’ l’occhio come sempre hai fatto con i tuoi Kakà, Shevchenko, Maldini e compagnia andante, per convincere qualche magnate del petrolio o della telefonia mobile o di chissà cosa: basta che siano svanzigh e molti, per ambire alla vetta del mondo.
Certo che, ripensando a quella fiaschetteria nel dicembre del 1899, come vorrei esserci stato anch’io!



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