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09 settembre 2004

IL SIGNOR B E NOI GIORNALISTI (IN CRISI?)

Essere giornalisti significa appartenere ad un albo professionale oppure ad una categoria sempre più sull’orlo di una crisi di nervi?
Questa domanda mi frulla nel cervello quando mi tocca leggere o ascoltare continui lamenti sul rischio di regime che deprimerebbe irrimediabilmente il mondo dell’informazione, a Torino e altrove, sotto il governo Berlusconi.
La nuova legge sull’editoria multimediale prende lo spunto da quella che indica l'entrata in vigore della tecnologia digitale nel prossimo 2006: cioè la n° 66 del 2001, voluta dal governo di Giuliano Amato e approvata dalla maggioranza allora al potere, l'Ulivo.
Con le opportune modifiche proposte dall’attuale Ministro della Comunicazione Maurizio Gasparri è stata votata a larga maggioranza da senatori eletti democraticamente il 14 maggio 2001 dal popolo italiano, dopo un iter parlamentare di quindici mesi.
Non si è trattato di un golpe istituzionale, qui non siamo nel Cile di Pinochet o nella Cina di Mao Tse Tung, e Gianni Letta o Fedele Confalonieri sono ben lungi da somigliare a questi signori, checché se ne blateri a sinistra e dintorni!
A lamentarsi della nuova legge sono molti degl’inarrivabili colleghi professionisti, retribuiti a stipendio (e che stipendio!) fisso, facilmente arrotondabile grazie a partecipazioni ben remunerate a convegni, feste di partiti – sempre gli stessi, naturalmente! – e quant’altro giovi a rimpolpare le loro inesauribili e inesauste risorse finanziarie.
Il sottoscritto, per il momento, constata l’assoluta mancanza di un polo di riferimento multimediale d’ispirazione federalista e cattolico-liberale in Piemonte e, ormai rassegnato, deve guadagnarsi ufficialmente il pane come lavoratore alberghiero di terzo livello.
Qui i tagli a posti di lavoro e gli stipendi non percepiti regolarmente da molti colleghi - il caso de "IL GIORNALE DEL PIEMONTE", supplemento regionale autogestito del Giornale diretto da Maurizio Belpietro, basta ed avanza - non possono ascriversi al delirio d’onnipotenza del pericoloso Cavaliere Nero di Arcore, ma al grigiore dei finanziatori a vario titolo, compagni catto-comunisti e neo-azionisti, che imperversano sotto la Mole investendo poco e male in giornali del cui acquisto il 95% dei cittadini fa a meno da anni!
Piuttosto chi scrive oggi, professionista o pubblicista non importa, dovrebbe fare inchieste sul territorio, interessare, e non annoiare, i suoi venticinque lettori, sempre più usando le nuove tecnologie digitali e sempre meno ricorrendo alla carta stampata, sgradita alla massa di cittadini/utenti usciti in prevalenza dalle premiate scuole pubbliche del dopo '68, quindi poco propensi a leggere.
Il giudice ultimo e finanziatore delle nostre fatiche è stato, è e sarà sempre il lettore, cui bisogna dedicare molta più attenzione di adesso: meno chiacchiere sui conflitti d’interessi del premier, più denunce di malcostume sociale e più inchieste a 360 gradi sul territorio: questa è a mio avviso la medicina adatta a rilanciare l’editoria piemontese in grave crisi per colpe esclusivamente sue.
Noi giornalisti vittime del Signor B.? No, solo di noi stessi!

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