Essere giornalisti significa appartenere ad un albo professionale oppure ad una categoria sempre più sull’orlo di una crisi di nervi?
Questa domanda mi frulla nel cervello quando mi tocca leggere o ascoltare continui lamenti sul rischio di regime che deprimerebbe irrimediabilmente il mondo dell’informazione, a Torino e altrove, sotto il governo Berlusconi.
La nuova legge sull’editoria multimediale prende lo spunto da quella che indica l'entrata in vigore della tecnologia digitale nel prossimo 2006: cioè la n° 66 del 2001, voluta dal governo di Giuliano Amato e approvata dalla maggioranza allora al potere, l'Ulivo.
Con le opportune modifiche proposte dall’attuale Ministro della Comunicazione Maurizio Gasparri è stata votata a larga maggioranza da senatori eletti democraticamente il 14 maggio 2001 dal popolo italiano, dopo un iter parlamentare di quindici mesi.
Non si è trattato di un golpe istituzionale, qui non siamo nel Cile di Pinochet o nella Cina di Mao Tse Tung, e Gianni Letta o Fedele Confalonieri sono ben lungi da somigliare a questi signori, checché se ne blateri a sinistra e dintorni!
A lamentarsi della nuova legge sono molti degl’inarrivabili colleghi professionisti, retribuiti a stipendio (e che stipendio!) fisso, facilmente arrotondabile grazie a partecipazioni ben remunerate a convegni, feste di partiti – sempre gli stessi, naturalmente! – e quant’altro giovi a rimpolpare le loro inesauribili e inesauste risorse finanziarie.
Il sottoscritto, per il momento, constata l’assoluta mancanza di un polo di riferimento multimediale d’ispirazione federalista e cattolico-liberale in Piemonte e, ormai rassegnato, deve guadagnarsi ufficialmente il pane come lavoratore alberghiero di terzo livello.
Qui i tagli a posti di lavoro e gli stipendi non percepiti regolarmente da molti colleghi - il caso de "IL GIORNALE DEL PIEMONTE", supplemento regionale autogestito del Giornale diretto da Maurizio Belpietro, basta ed avanza - non possono ascriversi al delirio d’onnipotenza del pericoloso Cavaliere Nero di Arcore, ma al grigiore dei finanziatori a vario titolo, compagni catto-comunisti e neo-azionisti, che imperversano sotto la Mole investendo poco e male in giornali del cui acquisto il 95% dei cittadini fa a meno da anni!
Piuttosto chi scrive oggi, professionista o pubblicista non importa, dovrebbe fare inchieste sul territorio, interessare, e non annoiare, i suoi venticinque lettori, sempre più usando le nuove tecnologie digitali e sempre meno ricorrendo alla carta stampata, sgradita alla massa di cittadini/utenti usciti in prevalenza dalle premiate scuole pubbliche del dopo '68, quindi poco propensi a leggere.
Il giudice ultimo e finanziatore delle nostre fatiche è stato, è e sarà sempre il lettore, cui bisogna dedicare molta più attenzione di adesso: meno chiacchiere sui conflitti d’interessi del premier, più denunce di malcostume sociale e più inchieste a 360 gradi sul territorio: questa è a mio avviso la medicina adatta a rilanciare l’editoria piemontese in grave crisi per colpe esclusivamente sue.
Noi giornalisti vittime del Signor B.? No, solo di noi stessi!
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