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21 febbraio 2004

LEGGENDO DI DUE SPARI A VUOTO

Un libro sa essere tesoro indissolubile, quando tiene avvinti per ore ed ore persone desiderose come me di riflettere sui casi della vita.
“Zio Vanja”, uno dei testi fondamentali di Cechov, è un dramma senza tempo, anche se nasce nella Russia zarista alle soglie del Novecento: un paese ed un’epoca entrambi destinati a condizionare per sempre la storia dell’Occidente.
L’autore russo rappresenta una famiglia impegnata a mantenere in vita una malandata proprietà terriera, conducendo un’esistenza fatta di una quiete solo apparente. In questo piccolo mondo ovattato si trascinano Vanja, uomo di rara bontà, affiancato dalla nipote, la dolce Sonia.
Sarà l’arrivo di due parenti alla lontana, mai conosciuti prima di allora, a sconvolgere un’esistenza che pare quella, immersa nel pattume quotidiano, di una famiglia dell’Italia d’oggi.
L’anziano cognato e la bella moglie romperanno gli equilibri di zio e nipote, esaltando le contraddizioni personali, le differenze caratteriali e culturali, lasciando spazio ad insulti e recriminazioni.
Fino al manifestarsi improvviso e sacrosanto di una violenza che da verbale si farà tangibile: due colpi di pistola a vuoto spazzeranno via per sempre i due intrusi. Tutto ripiomberà nella noia e affioreranno il rimpianto per un’impossibile felicità e l’angoscia per una condizione senza via d’uscita.
Per Cechov, narratore davvero eccelso, i fatti hanno un valore relativo, mentre il carattere dei personaggi assume una grande importanza attraverso la rappresentazione dei loro sentimenti.
Le loro velleità sono le nostre di persone inquiete, infastidite dalla comparsa, come nel romanzo di Cechov, di estranei. Leggendo di questi spari a vuoto, chissà quanti di noi restano sconvolti dall’astio che troppo spesso provano verso coloro che non sappiamo accettare, disturbati dagl’imprevisti quotidiani, mediocri simulacri delle nostre vite monotone?
Mentre i desideri nascosti, i sogni mancati sono immersi nei ritmi immutabili di una vita sempre uguale, nella Russia dei primi del Novecento come nell’attuale Italia confusa ma alla ricerca di un equilibrio meno precario fra le tradizioni e la globalizzazione incipiente: ancora troppo subita, quest’ultima, purtroppo per noi contemporanei!

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