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25 marzo 2004

DI PIETRO E IL CONVITATO … DI PIETRA

Antonio Di Pietro non finisce mai di stupire. Lo ricordiamo pubblico ministero di punta della procura milanese al tempo di Mani Pulite quando, intransigente come lo sceriffo nel Far West, intimava l’aut aut confessione o manette a nugoli di politici ed affaristi, purché fossero invisi ad una ben nota lobby editoriale: quella di Barbapapà Scalfari e dei suoi aficionados.
Oggi invece ce lo ritroviamo politico, fianco a fianco con uno dei suoi grandi inquisiti dell’epoca, vale a dire il professor Romano Prodi, allora presidente dell’IRI, adesso presidente della Commissione Europea a Bruxelles e candidato premier dal centrosinistra per le prossime elezioni del 2006.
Da politico Di Pietro ora recita la parte dell’oppositore scandalizzato da tutto e da tutti, in fuga perenne verso una società dove i ladri siano messi in galera e dove soprattutto siano cancellati per sempre i poteri forti.
Pensate un po’ a come il molisano più famoso al mondo (dopo Fred Buongusto, naturalmente!) riesca a farsi passare come un angioletto vissuto fra le nuvole, proprio come quelli che fanno da comparse nello spot con Bonolis e Laurenti di una celebre marca di caffè.
Proprio lui che, a fine Anni Ottanta, poverocristo studente-lavoratore di ritorno dalla Germania, riuscì a laurearsi in legge in meno di tre anni, pur avendo problemi di lessico non indifferenti. Credo di non essere il solo a domandarsi come abbia fatto, il nostro eroe, con il numero spropositato di PM in servizio attivo a Milano, ad ottenere il ruolo-chiave della pubblica accusa nell’inchiesta di Mani Pulite da gente con la puzza sotto il naso come i signori magistrati Borrelli e D'Ambrosio.
E come sia stato possibile che, durante la campagna elettorale del 1994, uno come lui abbia trattato direttamente con Arcore la sua discesa politica con il Cavaliere, puntando poi i piedi indispettito perché non otteneva un ministero all'altezza della sua fama?
Insomma per Di Pietro di pietra dovrebbe essere quel convitato che risponde al nome, difficile da pronunciare per lui come per molti moralisti d’accatto nella nostra nazione vilipesa, di potere bancario.
Un convitato che da magistrato ai tempi di Mani Pulite, quando tutto cambiò perché nulla restasse come prima (e le conseguenze, ahimé, le vediamo oggi!), Antonio Di Pietro, oppositore rampante al regime di Berlusconi, non vide per nulla.
A rinfrescargli le idee suggerisco a lui, che molto ne avrebbe necessità, e a chi ha la pazienza di leggermi, il qualificato parere di Giancarlo Galli, corsivista economico del quotidiano cattolico Avvenire, su Capitalia, la terza banca per fatturato in Italia.
“Il fenomeno Capitalia, al di là degli incidenti di percorso, esprime la volontà di creare, dopo la crisi di Mediobanca che le autorità romane, dopo la scomparsa di Cuccia, hanno favorito, un potere finanziario per la prima volta nella storia d’Italia concentrato a Roma, che sottrae a Milano l’unico strumento di riequilibrio di cui disponeva”.
Capitalia uguale a Geronzi, Fazio, Cragnotti, Tanzi, Lazio e Roma, Cirio e Parmalat: pallone e grande industria, una banca, non l’unica, d’interesse nazionale al loro esclusivo servizio.
Prima di Mario Chiesa, invece, avevamo l’Italia da bere: ma guarda un po’ che, gratta gratta, scopriamo finalmente a cosa è servita l’inchiesta di Mani Pulite?



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