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18 agosto 2003

UN PARADISO DI NOME LADINIA

Italia, estate del 2003.Saranno trentamila, o poco più: sparsi nelle valli di Fassa, Fiemme e Badia e, sul versante veneto, nella zona prospiciente il massiccio della Marmolada, i ladini sono una minoranza etnica che sa difendersi abilmente dagl’innumerevoli rischi della globalizzazione.
Divennero italiani per libera scelta durante la Prima Guerra Mondiale, quando si rifiutarono di arruolarsi nell’esercito di un impero austroungarico che li aveva sempre considerati sudditi, e nulla più: certo, a distanza di anni, non si può dire che il nuovo stato li tratti meglio, ma loro non se la prendono, anzi!
La loro lingua ha origini avvolte nel mistero e nessun filologo ha finora spiegato con certezza il suo ceppo di provenienza: nasce dalla mescolanza di vocaboli lombardi, veneziani, tedeschi e slavi ed il risultato finale sorprende per la musicalità giocosa.
L’attaccamento tenace alle proprie valli, alle bande musicali sparse in ogni piccolo centro e autentico fulcro delle comunità locali, alle montagne dolomitiche ed al duro lavoro nei pascoli fa sì che i ladini difendano con le unghie e coi denti le loro tradizioni secolari dall’ignoranza atavica di possibili invasori.
Mi riferisco, naturalmente, al popolo bue delle città di pianura che danni irreparabili hanno ad esempio causato alle zone montane del Piemonte e della Val d’Aosta: perennemente abbruttite da scempi edilizi che gridano vendetta, ospitano per pochi mesi l’anno individui che importano le loro pessime abitudini cittadine, fatte di bar + struscio + autoinsecondafila + piazzasancarloe/ocorsobuenosaires, ecc., ecc.
Questi novelli vandali spadroneggiano nell’Italia sorta sulle ceneri del ’68, priva cioè di educazione al rispetto delle proprie bellezze naturali ed artistiche, ma in queste ridenti valli del Nord Est italiano non hanno mai messo piede.
Con il sorriso sulle labbra e con grande fermezza, i ladini offrono ai turisti – moltissimi, per fortuna! – camminate di ogni tipo in quota nella loro natura incontaminata e simpatia innata, ma pretendono, com’è giusto, rispetto per il territorio in cui vivono: stare in mezzo a loro anche solo per pochi giorni ogni anno significa imparare come si vive bene nelle comunità dove l’Uomo, quello con l’U maiuscola, è al centro di tutto.
Comunità, appunto, che esistono ancora nell’Italia dell’estate 2003, incredibile dictu!


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